Nell’ambito dei rapporti con la P.A., tale azione entra difatti in gioco nelle ipotesi in cui il soggetto pubblico sia tenuto ad indennizzare quel privato che abbia realizzato opere contrattualmente non previste, in esecuzione di contratti nulli o irregolari. Ciò anche superando la regola secondo cui non si può dare luogo a spese non deliberate dall’ente nei modi stabiliti dalla legge e senza la previsione dell’apposita coper- tura finanziaria.

L'orientamento maggioritario sino alla sentenza delle Sezioni Unite della Cassazione, n. 10798/2015

aveva lasciato poco spazio all’utilizzo - con riferimento alla parte pubblica - di tale rimedio, facendo leva sull’esigenza di evitare che ciò potesse prestarsi ad abusi da parte dei privati “depau- perati”, ai danni dell’interesse collettivo. Allo scopo di frenare arbitrari ricorsi allo strumento civilistico, la giurisprudenza aveva in maggioranza ritenuto che, per l’utilizzo dell’azione generale nei confronti delle amministrazioni, fosse necessario un quid pluris oltre ai requisiti classici di cui all’art. 2041, ossia il riconoscimento espresso o tacito dell’utilità dell’o- pera per l’interesse pubblico.

La giurisprudenza ha introdotto la regola secondo cui l'utilità della gestione deve essere accertata con un atto (anche implicito) di riconoscimento da parte dell'ammnistrazione, a differenza di quanto accade nell'impotesi in cui l'azione sia esperita tra privati siffatta regola è desunta dal principio di cui all'art. 4 della L 2248/1865 all E, il quale impedisce al GO di sostituirsi alle scelte di spettanza dell'amministrazione.

Disciplina dei debiti fuori bilancio TUEL art. 194

Esempi: Professionista che svolgen un incarico per la PA senza formale incarico; esecuzione di un contratto non ancora approvato o nullo

Cassazione Sez. Un. 10798 del 26 maggio 2015 .
La regola di carattere generale secondo cui non sono ammessi arricchimenti ingiustificati nè spostamenti patrimoniali ingiustificabili trova applicazione paritaria nei confronti del soggetto privato come dell'ente pubblicoil privato attore ex art. 2041 cod. civ. nei confronti della P.A. deve provare - e il giudice accertare - il fatto oggettivo dell'arricchimento, senza che l'amministrazione possa opporre il mancato riconoscimento dello stesso, potendo essa, piuttosto, eccepire e dimostrare che l'arricchimento non fu voluto o non fu consapevole".

La regola di carattere generale secondo cui non sono ammessi arricchimenti ingiustificati né spostamenti patrimoniali ingiustificabili, trova applicazione paritaria nei confronti del soggetto privato come dell'ente pubblico; e poiché il riconoscimento dell'utilità non costituisce requisito dell'azione di indebito arricchimento, il privato attore ex art. 2041 c.c. nei confronti della P.A. deve provare il fatto oggettivo dell'arricchimento, senza che l'amministrazione possa opporre il mancato riconoscimento dello stesso, potendo essa, piuttosto, eccepire e dimostrare che l'arricchimento non fu voluto o non fu consapevole.(cass. 10798 del 26.05.2015)

Sul punto è stato infatti rilevato un contrasto interno alla giurisprudenza di legittimità: secondo l'orientamento prevalente, per l'utile esperimento dell'azione di ingiustificato arricchimento nei confronti della P.A. occorre la prova non solo del fatto materiale consistente nell'esecuzione dell'opera o della prestazione vantaggiosa per l'ente pubblico, ma anche del cd. riconoscimento, espresso o tacito, che l'amministrazione interessata abbia compiuto una cosciente e consapevole valutazione dell'utilità dell'opera, considerandoli rispondenti alle proprie finalità istituzionali. Conseguenza di tale ragionamento è che tale riconoscimento dell'utilitas non può che provenire da organi quanto meno rappresentativi dell'ente pubblico, unico legittimato ad esprimere il relativo giudizio.

Al contrario, un orientamento minoritario ma significativo e fondato su solide argomentazioni, offre invece spazi all'apprezzamento diretto da parte del giudice: secondo tale diversa interpretazione, il giudizio di utilità può essere compiuto anche dal giudice, che ha il potere di accertare se ed in quale misura l'opera o la prestazione siano state effettivamente utilizzate dalla pubblica amministrazione, con una conseguente maggiore tutela del diritto del privato ad essere indennizzato dell'impoverimento subito.

Le Sezioni Unite, a composizione di contrasto, hanno in primo luogo stabilito che il riconoscimento dell'utilità non costituisce requisito dell'azione ex art. 2041 c.c. nei confronti della P.A.: l'azione ex art. 2041 c.c. ha infatti una connotazione prevalentemente oggettivistica, fatta palese dall'impiego dei concetti materiali di "arricchimento" e diminuzione patrimoniale", senza richiamo alcuno al parametro soggettivistico dell'"utilità".

Ne consegue che ciò che il privato attore ex art. 2041 c.c. nei confronti della P.A. deve provare è il fatto oggettivo dell'arricchimento. E, ove il depauperato abbia fornito tale prova, si dovrà in seguito indagare non tanto se l'ente pubblico abbia riconosciuto l'arricchimento, quanto piuttosto "se sia stato almeno consapevole della prestazione indebita e nulla abbia fatto per respingerla". Nell'avvenuta utilizzazione della prestazione è infatti da ravvisare non tanto un atto di riconoscimento "difficilmente definibile nei suoi caratteri e soprattutto giuridicamente inammissibile, non potendo mai condizionarsi la proponibilità di un'azione ad una preventiva manifestazione di volontà del soggetto contro cui essa è diretta", quanto piuttosto un mero fatto dimostrativo dell'imputabilità giuridica a tale soggetto della situazione dedotta in giudizio (v. sul punto Cass. n. 4198/1982).In conclusione, le Sezioni Unite hanno pertanto affermato il seguente principio di diritto: "la regola di carattere generale secondo cui non sono ammessi arricchimenti ingiustificati nè spostamenti patrimoniale ingiustificabili trova applicazione paritaria nei confronti del soggetto privato come dell'ente pubblico; e poichè il riconoscimento dell'utilità non costituisce requisito dell'azione di indebito arricchimento, il privato attore ex art. 2041 c.c. nei confronti della P.A. deve provare – e il giudice accertare – il fatto oggettivo dell'arricchimento, senza che l'amministrazione possa opporre il mancato riconoscimento dello stesso, potendo essa, piuttosto, eccepire e dimostrare che l'arricchimento non fu voluto o non fu consapevole".

Il ricorso veniva assegnato alla terza sezione che ne promuoveva alla devoluzione alle sezioni unite rilevando un contrasto giurisprudenziale "tra l'orientamento (prevalente) che assume come assolutamente ineludibile la necessità che il riconoscimento anche implicito dell'utilitas provenga da organi quanto meno rappresentativi dell'ente pubblico e quello (minoritario, ma significativo e fondato su solide argomentazioni) che offre invece spazi all'apprezzamento diretto da parte del giudice".

Le Sezioni Unite della Cassazione, risolvendo il contrasto giurisprudenziale, fanno notare innanzitutto che nel caso di specie non è applicabile ratione temporis il D.L. n. 66 del 1989 "che, per i casi di richiesta di prestazioni o servizi, non rientranti nello schema procedimentale di spesa tipizzato dalla stessa normativa, ha previsto la costituzione di un rapporto obbligatorio diretto con l'amministratore o funzionario responsabile, correlativamente rimettendo all'ente pubblico la valutazione esclusiva circa l'opportunità o meno di attivare il procedimento del riconoscimento del debito fuori bilancio nei limiti degli accertati e dimostrati utilità ed arricchimento per l'ente stesso".
Non essendo possibile ipotizzare una retroattività della citata norma, deve ritenersi esperibile nella fattispecie l'azione di indebito arricchimento nei confronti della P.A. per i servizi resi anteriormente all'entrata in vigore di tale normativa.

Quanto alla necessità o meno di un "requisito ulteriore" ossia del riconoscimento dell'utilità dell'opera o della prestazione - rispetto a quelli standards fissati dagli artt. 2041 e 2042 cod. civ., allorchè l'azione venga proposta nei confronti della P.A., la Corte, nel dare ragione alla Vedova, ricorda che "la regola di carattere generale secondo cui non sono ammessi arricchimenti ingiustificati nè spostamenti patrimoniali ingiustificabili trova applicazione paritaria nei confronti del soggetto privato come dell'ente pubblico; e poiché il riconoscimento dell'utilità non costituisce requisito dell'azione di indebito arricchimento, il privato attore ex art. 2041 cod. civ. nei confronti della P.A. deve provare - e il giudice accertare - il fatto oggettivo dell'arricchimento, senza che l'amministrazione possa opporre il mancato riconoscimento dello stesso, potendo essa, piuttosto, eccepire e dimostrare che l'arricchimento non fu voluto o non fu consapevole".

Cassazione Sez. II, sent. 23503 del 17.11.2015.
L'azione di ingiustificato arricchimento contro la PA. La violazione delle prescrizioni in materia di assunzioni di impegno da parte degli Enti locali (ora disciplinata dall'art. 191 del TUEL) determina l'insorgenza del rapporto obbligatorio, ai fini del corrispettivo, direttamente con l'amministratore o il funzionario che abbia consentito la prestazione. L'azione di arricchimento senza causa nei confronti del Comune, invece, richiede il requisito della sussidiarietà (Cass. 15296/07, Cass. 10640/07) ergo il riconoscimento dell'utilitas da parte dell'organo consiliare.

 

In tema di spese degli enti locali effettuate senza il rispetto delle condizioni di cui all'art. 23, commi 3 e 4, di. 2 marzo 1989, n. 66, convertito con modificazioni dalla legge 24 aprile 1989, n. 144, e riprodotto, senza sostanziali modifiche, prima dall'art. 35 d.lgs. n. 77 del 1995 e poi dall'art. 191 d.lgs. n. 267 del 2000, l'insorgenza del rapporto obbligatorio, ai fini del corrispettivo, direttamente con l'amministratore o il funzionario che abbia consentito la prestazione, determina l'impossibilità di esperire nei confronti del Comune l'azione di arricchimento senza causa, stante il difetto del necessario requisito della sussidiarietà (da ultimo Cass. n. 17550 del 29/07/2009). E di più, proprio in considerazione del fatto che nel caso in esame era possibile l'azione diretta di recupero della subita diminuzione patrimoniale, nei confronti dell'amministratore o del funzionario responsabile dell'acquisizione del servizio, rendeva inapplicabile la normativa di cui all'art. 5 del d.lgs. n. 342 del 1997, richiamata dal ricorrente, perché quella normativa presuppone che sia esperibile la sola azione di arricchimento senza causa nei confronti della Pubblica Amministrazione, senza la possibilità di un'azione diretta nei confronti dell'amministratore o funzionario della Pubblica Amministrazione che abbiamo dato causa al servizio di che trattasi.

Cassazione Sez. Un. Civili , 11 settembre 2008, n. 23385. Arricchimento senza causa - Prestazioni di un'impresa ad un ente pubblico in esecuzione di contratto di appalto annullato - Utilità - Indennità per indebito arricchimento - Riconoscimento del lucro cessante - Esclusione - Determinazione dell'indennizzo

 

In tema di azione d'indebito arricchimento nei confronti della P.A., conseguente all'assenza di un valido contratto di appalto di opere (nella specie perché annullato dal Giudice Amministrativo), tra la P.A. (nella specie un Comune) ed un privato (nella specie un consorzio di cooperative), l'indennità prevista dall'art. 2041 cod. civ. va liquidata nei limiti della diminuzione patrimoniale subita dall'esecutore della prestazione resa in virtù del contratto invalido, con esclusione di quanto lo stesso avrebbe percepito a titolo di lucro cessante se il rapporto negoziale fosse stato valido ed efficace; pertanto, ai fini della determinazione dell'indennizzo dovuto, non può farsi ricorso alla revisione prezzi, tendente ad assicurare al richiedente quanto si riprometteva di ricavare dall'esecuzione del contratto, la quale, non può costituire neppure un mero parametro di riferimento, trattandosi di meccanismo sottoposto dalla legge a precisi limiti e condizioni, pur sempre a fronte di un valido contratto di appalto (Principio enunciato dalle Sezioni Unite, in fattispecie antecedente alla legge 24 aprile 1989, n. 144, risolvendo un contrasto in riferimento ai criteri di calcolo dell'indennizzo ex art. 2041 cod. civ.).

Dello stesso tenore è la sentenza n. 3905/2010, secondo cui "essendo pacifico che nel caso di specie si verte in tema di prestazioni effettuate in esecuzione di un contratto di incarico professionale nullo, si rileva che un recente arresto delle Sezioni unite di questa Corte suprema (sentenza n. 1875 del 27.1.2009) ha riaffermato il principio - richiamandosi espressamente a precedenti pronunce (n. 23385/2008 delle stesse Sezioni unite e n. 9243/2000) - secondo cui in materia di azione d'indebito arricchimento nei confronti della P.A., conseguente all'assenza di un valido contratto d'opera, l'indennità prevista dall'art. 2041 c.c. va liquidata nei limiti della diminuzione patrimoniale subita dall'esecutore della prestazione resa in virtù del contratto invalido, con esclusione di quanto lo stesso avrebbe percepito nel caso in cui il contratto d'opera fosse stato valido ed efficace".

La Cassazione, con sentenza n. 5696/2011, ha stabilito che "in tema di azione d'indebito arricchimento nei confronti della P.A., conseguente all'assenza di un valido contratto di appalto d'opera tra la P.A. ed un professionista, l'indennità prevista dall'art. 2041 cod. civ. va liquidata nei limiti della diminuzione patrimoniale subita dall'esecutore della prestazione resa in virtù del contratto invalido, con esclusione di quanto lo stesso avrebbe percepito a titolo di lucro cessante se il rapporto negoziale fosse stato valido ed efficace".

L'obbligazione risarcitoria nell'art. 2043 c.c., nasce da un comportamento illecito che è origine dell'obbligazione in quanto fatto esclusivo causante il danno, laddove con riguardo al rimedio dell'art. 2041 c.c., impoverimento ed arricchimento non sono in rapporto di causa ed effetto, ma sono entrambi due effetti, i quali producono direttamente la nascita dell'obbligazione. ...

 

 

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